I miei nonni materni erano di Grado, emigrati in Francia nei primi anni '20, da cui la mia quota di sangue italiano trova su quest'isola le sue radici. Per questioni familiari vi ho speso diversi anni della mia infanzia e tuttora, dopo un variegato peregrinare in giro per l'Italia e per il mondo, risiedo nelle vicinanze.
Le cose sono molto cambiate da quando mia nonna, da piccola, mi raccontava del suo paese descrivendolo come un angolo di paradiso, in cui anche nella miseria più nera si viveva in armonia e sempre in sintonia con i movimenti del mare onnipresente.
Ricordo i miei primi anni a Grado, quando ancora bambina, mi piaceva passeggiare lungo la costa e sostavo incantata a guardare i colori del tramonto che si riflettevano sulle lievi onde del nord Adriatico. Restavo lì, immobile, fintanto che l'ultimo spicchio del grande cerchio infuocato non spariva dietro all'orizzonte. Un senso di malinconia mi pervadeva, ma subito svaniva per lasciare il posto alla mia inconsapevolezza infantile.
Benché nata e cresciuta nel verde, ma freddo Jura francese, il mare conquistò da subito il mio cuore per non lasciarlo mai più.
Nessuno meglio del grande poeta dialettale Biagio Marin (1891 - 1985) riesce ad esprimere i sentimenti che mi legano a questa terra, o meglio al ricordo di com'era fino a qualche decennio fa. Lascio dunque a lui la parola!
PAESE MIO
Paese mio,
picolo nío e covo de corcali,
pusào lisiero sora un dosso biondo,
per tu de canti ne faravo un mondo
e mai no finiravo de cantâli.
Per tu 'sti canti a siò che i te 'ncorona
comò un svolo de nuòli matutini
e un solo su la fossa de gno nona
duta coverta d'alti rosmarini.
Biagio Marin, da “Cansone picole”, 1927
Traduzione:
PAESE MIO
Paese mio, piccolo nido e covo di gabbiani, - posato leggero su di un dosso biondo, - per te di canti ne farei un mondo - e mai non smetterei di cantarli.
Per te questi canti, perché ti incoronino - come un volo di nuvoli mattutini - e uno solo sulla fossa di mia nonna - tutta coperta di alti rosmarini.
Ricordo i miei primi anni a Grado, quando ancora bambina, mi piaceva passeggiare lungo la costa e sostavo incantata a guardare i colori del tramonto che si riflettevano sulle lievi onde del nord Adriatico. Restavo lì, immobile, fintanto che l'ultimo spicchio del grande cerchio infuocato non spariva dietro all'orizzonte. Un senso di malinconia mi pervadeva, ma subito svaniva per lasciare il posto alla mia inconsapevolezza infantile.
Benché nata e cresciuta nel verde, ma freddo Jura francese, il mare conquistò da subito il mio cuore per non lasciarlo mai più.
Nessuno meglio del grande poeta dialettale Biagio Marin (1891 - 1985) riesce ad esprimere i sentimenti che mi legano a questa terra, o meglio al ricordo di com'era fino a qualche decennio fa. Lascio dunque a lui la parola!
PAESE MIO
Paese mio,
picolo nío e covo de corcali,
pusào lisiero sora un dosso biondo,
per tu de canti ne faravo un mondo
e mai no finiravo de cantâli.
Per tu 'sti canti a siò che i te 'ncorona
comò un svolo de nuòli matutini
e un solo su la fossa de gno nona
duta coverta d'alti rosmarini.
Biagio Marin, da “Cansone picole”, 1927
Traduzione:
PAESE MIO
Paese mio, piccolo nido e covo di gabbiani, - posato leggero su di un dosso biondo, - per te di canti ne farei un mondo - e mai non smetterei di cantarli.
Per te questi canti, perché ti incoronino - come un volo di nuvoli mattutini - e uno solo sulla fossa di mia nonna - tutta coperta di alti rosmarini.
LA SOLITAE
La solitàe la xe comò la piova
che la soneva sora 'l mar lisiera
co, mamolo, me 'ndevo su la spiasa
su l'ora che a levante feva sera.
La solitàe vigniva co' 'l caligo
de le marine ignote de ponente;
la rompeva ogni tanto garghe sigo
de gharghe oselo ne l'ombra cressente.
Dolse 'l rumor de l'aqua su l'ombrela,
caressa al cuor el respiro de l'ola;
passeva silensiosa gharghe vela,
che ne la piova pareva più sola.
E me più solo fato conca svoda
e sonante de duti quii laminti,
de quele parolete de la piova
e dei fis-ci, lontan, dei bastimenti.
Biagio Marin
Traduzione:
LA SOLITUDINE
La solitudine e' come la pioggia - che suovana leggera sopra il mare - quando, bambino, me ne andavo sulla spiaggia - all'ora che a levante faceva sera.
La solitudine veniva con la nebbia - delle marine ignote di ponente; - la rompeva ogni tanto qualche grido - di qualche uccello nell'ombra crescente.
Dolce il rumore dell'acqua sull'ombrello, - accarezza il cuore il respiro dell'onda; - passava silenziosa qualche vela, - che nella pioggia pareva più sola.
Ed io più solo fatto conca vuota - e risuonante di tutti quei lamenti, - di quelle paroline della pioggia- e dei fischi, lontani, dei bastimenti.
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